Andrano (LE) – Arcidiocesi di Otranto

Cappella dell’Attarico

La denominazione “Madonna dell’Attarico” (allitterazione dal latino “ad Taricum”), fa riferimento alla contrada in cui è situata una grotta rupestre che conserva tuttora i residui di un affresco raffigurante la Madonna con bambino tra santi, ed altri segni caratteristici della fede cristiana, rozzamente scalfiti sulla roccia.

A differenza di altre grotte Salentine che sono tufacee e artefatte, questa dell’Attarico è un ampio antro naturale, con cunicoli che si addentrano nella roccia viva, dura e compatta. Per la sua posizione geograficamente e panoramicamente interessante, si può supporre che ne abbia usufruito, come provvidenziale rifugio, qualche pio eremita pervenuto nel territorio per sfuggire alle persecuzioni nel periodo delle lotte iconoclaste (sec. VIII – X).

Cappella dell’Attarico

Più probabilmente sarà stata utilizzata, come dimora feriale, da qualche monaco della comunità basiliana della vicinissima Abbazia di S. Maria del Mito, che durante la settimana si ritirava in vita solitaria penitenziale e contemplativa nella tranquillità e nel silenzio (sec. XI XV).

La contrada in cui è situata la grotta rupestre è denominata Tarico – Tarichi – dal greco Taricos che significa concia. Nel linguaggio, popolare permane la risonanza greca “Madonna tu Taricu”.

Questo vocabolo, oltre a testimoniare insediamenti ellenofoni nel territorio, fa riferimento all’industria della concia delle pelli, sviluppata, in tempi remoti, dai “pelicani” della zona e testimoniata dalla cultura della “quercia vallonea” dalle cui bacche si ricavava l’acido tannico necessario per questa industria. Le pelli conciate venivano poi utilizzate, per la trascrizione di manoscritti, dai copisti dell’Abbazia di S. Maria del Mito, gestita dai Monaci Basiliani.

Affresco della "Madonna tu Taricu"
Affresco della “Madonna tu Taricu”

Attorno all’affresco che caratterizzava la grotta, si è sviluppato un fervido culto mariano e, dalla probabile raffigurazione della Madonna nell’atteggiamento di allattare il Bambino, sarà sorta la leggenda di un’umile popolana dimorante in un casolare della contrada, che, dato alla luce un figlio, non riusciva a sfamarlo col latte del suo seno. Angosciata per gli insistenti strilli del bimbo e per la crescita stentata, chiese l’intervento della Madonna che, comparendole in sogno, le avrebbe rivelato come risolvere la vicenda: bisognava eliminare la biscia, annidata tra le pietre del casolare, che glielo sottraeva dal seno, mentre lei dormiva, prevenendo le poppate del bimbo. Così l’angoscia per la scarsità del latte ebbe fine e la creatura crebbe soddisfatta, sana e robusta.

L’allegorica vicenda si presta ad una interpretazione di carattere sociale: il territorio di Andrano è fertile, ma, per lo sfruttamento dei potenti, i conterranei sono largamente vissuti fra stenti, finché non se ne sono liberati.

L’altra interpretazione è di carattere religioso. La fede ha incontrato difficoltà di crescita, a causa anche di persecuzioni di vario genere, fino a quando la presenza e l’intervento dei Monaci Basiliani, con la proposta del culto della Madonna e con la catechesi, non ha portato l’annuncio della verità e la pratica di vita cristiana.

Nell’immediata vicinanza della grotta rupestre, i feudatari fecero erigere una cappella di modestissime dimensioni, dotandola di un pingue beneficio Ecclesiastico, con diritto di patronato che, per secoli, i vescovi di Castro prima e di Otranto dopo, su proposta dei feudatari, assegnavano ai membri del Clero, insignendoli del titolo di Abati.

L’immagine più recente, dipinta durante l’infeudazione dei Caracciolo e che costituiva la pala dell’altare nella chiesetta di loro patronato, raffigura la Madonna velata che sorregge il Bambino tra volti alati, con ai piedi S. Gennaro e S. Carlo Borromeo, santi caratteristici della devozione napoletana.

Il dipinto originale, su legno, recentemente restaurato dall’ Arcicivescovo di Otranto, ora è custodito nel Palazzo Arcivescovile per essere preservato dal trafugamento.

Non mancano, tuttavia, documenti che testimoniano la presenza e il culto, nella cappella, di un’anteriore immagine raffigurante “la Santissima Vergine che tiene in braccio lo Celeste Infante in atto di porgergli il latte”, e da ciò la deduzione della denominazione di “Santa Maria del Lattarico” (1767).

Il tempio attuale, costruito sui ruderi dei precedenti e realizzato per ricordare il dott. Francesco Marzo è stato inaugurato nel 1990.